Atomi metallici nella “rete” del grafene: arrivano i materiali del futuro

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Una ricerca condotta dall’Istituto Officina dei Materiali del Cnr (Cnr-Iom) e dalle Università di Trieste, MilanoBicocca e Vienna ha svelato un metodo semplice e innovativo per la realizzazione di materiali che combinano la versatilità del grafene alla robustezza di atomi metallici. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, promette applicazioni nei campi della catalisi, della spintronica e dei dispositivi elettronici.

Il metodo individuato consiste nel depositare in modo controllato atomi metallici, come il cobalto, durante la formazione dello strato di grafene su una superficie di nichel.
Alcuni di questi atomi vengono incorporati nella rete di carbonio del grafene, così trasformandosi in un nuovo materiale che ha proprietà eccezionali di robustezza, reattività e stabilità.


Singoli atomi di cobalto e di nichel intrappolati in una rete di grafene (credits: Valeria Chesnyak, Irene Modolo)

Il metodo è stato ideato nei laboratori del Cnr-Iom di Trieste: “Si tratta di un risultato ancora preliminare, ma già molto promettente, frutto di un’idea originale nata nel nostro laboratorio che all’inizio sembrava irrealizzabile“, afferma Cristina Africh, ricercatrice del Cnr-Iom che ha guidato il team.

Grazie al fatto che il materiale può essere staccato dal substrato mantenendo la sua struttura originale, esso è potenzialmente utilizzabile in ambito applicativo. “La metodologia è stata sperimentata per intrappolare atomi di nichel e cobalto, ma i nostri calcoli dicono che l’uso si potrà estendere ad altri metalli per applicazioni diverse“, spiega Cristiana Di Valentin, professoressa di Chimica generale e inorganica dell’Università di Milano-Bicocca.

Inoltre, il materiale ha mostrato stabilità anche in condizioni critiche: “Abbiamo dimostrato che questo materiale sopravvive anche a condizioni critiche, inclusi gli ambienti elettrochimici utilizzati per le applicazioni in celle a combustibile e batterie“, aggiunge Jani Kotakoski dell’Università di Vienna.

Frutto di una collaborazione internazionale, lo studio si è avvalso di competenze diverse e complementari: “Un aspetto decisivo per dimostrare l’efficacia di questo approccio, semplice e potente al tempo stesso”, conclude Giovanni Comelli dell’Università di Trieste.