Siria, Iran ha perso tutta la rete e ora torna Trump: Teheran punta sul nucleare?

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(Adnkronos)
Con il crollo del regime di Bashar al-Assad in Siria è andata in frantumi quella rete di proxy e Paesi alleati su cui l’Iran in questi anni aveva investito miliardi di dollari e attraverso la quale esercitava influenza politica e militare in Medio Oriente. 

Tutti i pilastri su cui quel sistema poggiava, da Assad agli Hezbollah libanesi fino a Hamas, sono usciti di scena oppure sono stati devastati a livello militare da Israele. Del vecchio ‘Asse della resistenza’ restano in piedi solo gli houthi in Yemen e le milizie sciite in Iraq, ma la capacità di deterrenza della Repubblica islamica appare compromessa al punto che molti osservatori scommettono ora su un’accelerazione del suo programma nucleare. 

La caduta di Assad è l’ultima catastrofe strategica che costringerà l’Iran a ripensare la sua politica di sicurezza. E proprio mentre si avvicina il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, con il rischio che torni ad esercitare quella politica di “massima pressione” nei confronti della Repubblica islamica che aveva caratterizzato il suo primo mandato.  

La reazione a catena innescata dai fatti del 7 ottobre ha provocato un cambiamento radicale paragonabile per l’Iran solo all’intervento americano in Iraq del 2003. Ma mentre allora la caduta di Saddam Hussein rappresentò un’opportunità, questa volta Teheran è in una posizione di svantaggio al punto che il Council on Foreign Relations, come sottolinea il Wall Street Journal, parla di una delle “battute d’arresto più gravi” per la Repubblica islamica dalla guerra con l’Iraq degli anni Ottanta. 

“La Repubblica islamica pensava che l’attacco di Hamas del 7 ottobre fosse un punto di svolta nella storia. È vero, ma nella direzione completamente opposta a quella che sperava ha affermato Ali Vaez, direttore dell’Iran Project dell’International Crisis Group I pezzi del domino sul fronte occidentale sono caduti uno dopo l’altro”. 

Come fa notare il Royal Institute of International Affairs, la fine del regime di Assad rappresenta per gli ayatollah la perdita del loro “ponte terrestre” verso il Mediterraneo orientale, ma anche un ‘buco’ economico. Solo nel 2023, la Siria ha importato quasi 40 milioni di barili di petrolio dall’Iran, la cui economia è in ginocchio da anni per le sanzioni. 

Ancora più importante, la Siria aveva permesso all’Iran di accedere via terra a Hezbollah, il fulcro del suo Asse della resistenza, che grazie al sostegno di Teheran è diventato l’attore non statale meglio armato al mondo. “Non esiste Asse di resistenza senza accesso a Hezbollah”, ritiene Vaez. 

Teheran ha già manifestato l’intenzione di voler mantenere la sua influenza nel Paese arabo, chiedendo la formazione di un governo che rappresenti tutti. I primi segnali dalla Siria post-Assad, tuttavia, non sono stati amichevoli. Molti siriani ritengono responsabile Teheran, insieme a Hezbollah, dell’oppressione di Assad. Non a caso subito dopo il loro ingresso a Damasco, le fazioni armate hanno risparmiato l’ambasciata russa mentre hanno saccheggiato quella iraniana. 

Per Sam Heller, un esperto di Siria presso il think tank Century International, sebbene il futuro del Paese arabo sia ancora molto incerto, è improbabile che qualsiasi leadership emerga “sosterrà gli obiettivi dell’Iran nel modo in cui faceva il governo nazionale siriano controllato da Assad”. 

La sconfitta in Siria e la rimozione di Hamas e Hezbollah come minacce immediate per Israele hanno ridotto pesantemente la deterrenza che l’Iran aveva contro gli attacchi israeliani. All’inizio di quest’anno lo Stato ebraico ha lanciato due ondate di attacchi aerei diretti contro l’Iran che hanno colpito strutture militari e distrutto sistemi di difesa aerea forniti dalla Russia.  

L’Iran è alle prese con questo nuovo scenario di sicurezza in un momento in cui la sua leadership sta invecchiando, con la Guida Suprema, Ali Khamenei, che ad aprile compirà 86 anni. Molti analisti hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che potrebbe accelerare il suo programma nucleare per ripristinare un certo livello di deterrenza contro gli attacchi stranieri. 

Per il Cfr, il valore della deterrenza nucleare è aumentato in Iran che, sebbene non possieda ancora armi atomiche, ha incrementato la sua capacità di arricchire l’uranio a livelli vicini a quelli utilizzabili in breve tempo per scopi militari. Da mesi i funzionari iraniani dibattono se aumentare i propri sforzi nucleari e riconsiderare l’impegno preso con una fatwa da Khamenei di non dotarsi di armi di distruzione di massa.