Treccani celebra Rosario Livatino, il giudice ucciso dalla mafia

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A trentacinque anni dall’omicidio per mano mafiosa, l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, in collaborazione con la Regione Siciliana, dedica un’opera alla figura di Rosario Angelo Livatino, giovane magistrato ucciso a soli 38 anni e proclamato beato da Papa Francesco il 9 maggio 2021 come martire “in odium fidei”. Il volume “Rosario Livatino tra Diritto e Fede”, curato dal giurista Gaetano Armao, professore di Diritto amministrativo all’Università degli Studi di Palermo, vuole restituire alla memoria collettiva l’immagine di un uomo che ha incarnato i valori più alti della giustizia e della fede. L’opera Treccani esce in occasione del Giubileo degli operatori di giustizia.

Conosciuto come il “giudice studente” per il suo amore per lo studio e la riservatezza, Livatino rappresenta oggi un simbolo di legalità silenziosa e coraggiosa. Magistrato integerrimo e coraggioso, impegnato nella lotta all’illegalità, visse la professione come autentica vocazione al servizio del bene comune. Dotato di grande riservatezza, non rilasciò mai interviste né cercò visibilità mediatica e condusse indagini decisive sulla criminalità organizzata agrigentina fino al giorno del suo assassinio, a soli 38 anni, il 21 settembre 1990, da parte di un commando mafioso sul viadotto Gasena mentre si recava, senza scorta, in tribunale.

“L’impegno professionale e la forza morale del giovane Livatino ne fecero un magistrato motivato, attratto dagli studi, integerrimo e alieno da ogni forma di protagonismo: un uomo di diritto siciliano convinto che il riscatto della propria terra passasse per il lavoro, l’onestà, il senso del dovere, la giustizia”, ha dichiarato il curatore Gaetano Armao.

L’opera, con i contributi del rettore dell’Universita di Palermo Massimo Midiri, del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, del cardinale Marcello Semeraro, del presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e di docenti universitari e magistrati Emanuele Boscolo, Guido Corso, Felice Giuffrè, Nicola Gullo, Maria Immordino, Laura Lorello, Andrea Piraino, Giovanbattista Tona e Caterina Ventimiglia e le conclusioni dello stesso Armao, riporta integralmente la tesi in diritto urbanistico regionale che Livatino presentò presso la Scuola di perfezionamento in Diritto regionale dell’Università di Palermo nell’aprile del 1990, quando conseguì il diploma.

Rimasta a lungo inedita e discussa con il massimo dei voti appena cinque mesi prima della sua tragica uccisione, rappresenta un documento prezioso che illumina un passaggio fondamentale della sua formazione intellettuale e professionale e riflette la scrupolosità di un giurista capace di grandi intuizioni in materia urbanistica e di una lucida analisi delle criticità della normativa regionale, ma anche del magistrato che aveva chiara la trasformazione, ormai compiuta, della mafia agraria in organizzazione criminale dedita alla speculazione ed al saccheggio del territorio anche attraverso l’utilizzo dell’abusivismo edilizio.

La pubblicazione Treccani è stata promossa dalla Regione Siciliana, nell’anno in cui Agrigento è Capitale Italiana della Cultura. “In questo anno speciale abbiamo voluto inserire tra le iniziative ha sottolineato il presidente della Regione, Renato Schifani la pubblicazione della tesi di perfezionamento di Rosario Livatino, figura emblematica di una Sicilia che nella legalità e nella cultura del diritto intende trovare il proprio riscatto. Grazie alla collaborazione con la Treccani, simbolo della cultura italiana nel centenario della sua fondazione, è stato possibile realizzare un’opera che restituisce l’immagine di uno studente modello e di un magistrato di eccezionale valore, la cui integrità e dedizione continuano a ispirare le nuove generazioni”.

Il volume Treccani riporta anche una frase inedita di straordinaria forza, che Rosario Livatino pronunciò nell’orazione funebre per Elio Cucchiara, sostituto procuratore aggiunto di Agrigento, il 12 settembre 1983. Parole che rivelano con limpida chiarezza la sua concezione di giustizia e che costituiscono un autentico pilastro della sua vita professionale e morale: non limitarsi a un’applicazione formale della legge, ma viverla come strumento di giustizia autentica, sempre orientata al servizio del bene comune. “I magistrati possono dividersi in due categorie: quelli che argomentano in questo modo ‘la legge non dice che io non possa farlo e allora lo faccio’ e quelli che argomentano in quest’altro modo ‘la legge non dice che io lo possa fare e quindi non lo faccio’ C’è differenza fra queste due categorie, fra questi due modi di informare il proprio dovere? Sì, v’è quella stessa differenza sottile e abissale a un tempo che corre tra l’essere semplicemente operatori del diritto e l’essere operatori di giustizia”. (di Paolo Martini)