Lo scrittore Boris Akunin: ‘la Russia imperiale si rigenera’

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“I Putin vanno e vengono. Ma l’impero resta”. La frase di Boris Akunin, pronunciata con calma ma con la determinazione di chi conosce a fondo la storia del proprio Paese, pesa come un monito. Lo scrittore russo dissidente, in esilio volontario dal 2014 in Inghilterra, ha presentato oggi il suo nuovo libro “L’avvocato del diavolo. Racconto dell’orrore” (Mondadori) al festival Pordenonelegge, trasformando l’incontro letterario in una riflessione profonda e inquietante sul destino della Russia. Un destino, secondo lui, segnato da una ricorrenza storica: “l’inclinazione ciclica verso l’impero”.

“La Russia è un Paese che ha la tendenza a tornare alla forma dell’impero, di nuovo e di nuovo. E potrebbe succedere di nuovo. Questa è la mia più grande paura”, ha detto lo scrittore che nelle scorse settimane è stato condannato in contumacia da una corte militare russa a 14 anni di reclusione in una colonia penale di regime severo con l’accusa di giustificazione del terrorismo.

Per Akunin, pseudonimo di Grigorij Šalvovič Čhartišvili, l’autocrazia russa non è un accidente storico riconducibile solo alla figura di Vladimir Putin. È piuttosto l’ennesima incarnazione di una tendenza profonda, culturale, strutturale, che attraversa le epoche e le ideologie: dallo zarismo all’Unione Sovietica, fino all’odierno neoautoritarismo. I leader cambiano, ma lo spirito imperiale resta. “I ‘gasudarstvenniki'”, ovvero i funzionari fedele allo Stato oppure, in un senso più ideologico, una persona che pone gli interessi dello Stato al di sopra di tutto, spesso con una visione autoritaria o centralista, spiega Akunin, “hanno avuto molti nomi: erano i funzionari imperiali dello zar, poi i burocrati sovietici, oggi sono gli uomini di Putin. Ma sono sempre gli stessi, ideologicamente. Credono nella missione imperiale della Russia”.

Non è dunque sufficiente che Vladimir Putin lasci il potere. Secondo Akunin, la caduta dell’attuale regime non garantisce affatto un futuro democratico. “La Russia di Putin è destinata a crollare. Ma la domanda è: cosa accadrà dopo? È questo che dovrebbe preoccuparci”, affera lo scrittore. Il rischio, dice, è che la Russia rigeneri ancora una volta la propria forma imperiale, magari con volti nuovi ma con gli stessi schemi del passato.

Akunin utilizza una potente immagine per descrivere il conflitto interno della Russia: l’aquila a due teste. Una guarda verso l’impero e la dittatura, l’altra verso la libertà e la dignità umana. Due anime che coesistono, in perenne scontro. “Da una parte ci sono i sostenitori dell’impero. Dall’altra ci sono i pensatori, gli scrittori, gli oppositori. È una lotta antica, che non è mai finita”. Lo scrittore russo rivendica la propria scelta di essere rimasto fedele a quest’ultima testa dell’aquila. Nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, ha compreso che “la porta delle possibilità” si era chiusa: “Ho aspettato sei mesi sperando in una reazione popolare. Ma quando ho visto che l’85% dei russi era contento, ho deciso di andarmene. Non potevo restare in un Paese che accoglie con entusiasmo il ritorno dell’impero”.

Il libro “L’avvocato del diavolo nasce”, dice Akunin, da una “reazione nervosa” alla nuova realtà tragica. Un libro che, sebbene sia narrativa, affonda le radici in una consapevolezza storica e politica. “Io volevo essere un autore di letteratura di intrattenimento. Mi divertiva. Ma ora non posso più evitare la realtà. Se sei uno scrittore, devi essere libero. E devi dire ciò che pensi”.

Il pensiero di Akunin è chiaro: la Russia non è Putin, è qualcosa di più profondo e, per certi versi, più inquietante. È una cultura politica che fatica a immaginarsi fuori dall’idea di impero. E il mondo, dice, deve prepararsi al dopo. “La vera minaccia non è l’uomo, è il sistema che continua a generarlo”.

Akunin non risparmia critiche all’Europa, definita debole, disorientata, preda delle proprie paure. Putin sottolinea se ne approfitta. Gli attacchi contro Polonia ed Estonia sono un modo per intimidire l’Unione europea e costringerla a ritirare il sostegno all’Ucraina: “Putin vuole che l’Europa abbia paura della guerra e che faccia pressione su Zelensky. Ma è solo un’illusione di potenza”.

Nel XIX secolo, ricorda Akunin, l’impero russo era il “gendarme d’Europa”. Oggi, dice amaramente, Putin sogna di essere parte di “un triangolo di potere globale con Trump e Xi Jinping. Ma in realtà è diventato un satellite della Cina. Eppure, nel suo immaginario, vuole ancora essere l’artefice del destino del mondo”.

Lo sguardo di Akunin non è solo di condanna, ma anche di speranza. Speranza in una Russia che scelga la testa giusta dell’aquila. “Io ho vissuto vent’anni in una Russia libera. E una volta che hai vissuto nella libertà, non puoi più tornare indietro”. Per questo scrive, per questo resiste. La sua letteratura oggi più che mai è uno strumento politico, morale, civile. Non perché debba esserlo, ma perché non può essere altrimenti. “Uno scrittore che non è libero, non serve a niente. Smette di essere uno scrittore”, conclude Boris Akunin. (di Paolo Martini)