“L’insieme delle esternazioni lette pubblicamente in udienza dall’avvocato Michele Santonastaso, il contesto storico e processuale in cui le stesse sono state inserite, i toni utilizzati, il forte risentimento manifestato, l’indicazione nominativa e ripetuta dei due giornalisti, le violente accuse loro rivolte di condizionare la magistratura e così contribuire all’emissione di ingiuste condanne, fanno chiaramente intendere il messaggio implicito sottostante, di natura inequivocabilmente minatoria, che con la inconsueta lettura dell’atto di rimessione si intendeva far arrivare”. Lo scrivono i giudici della prima sezione della Corte di Appello di Roma nella sentenza con lo scorso 14 luglio hanno confermato le condanne per le minacce rivolte in aula nel 2008 durante il processo di secondo grado ‘Spartacus’ a Napoli alla giornalista Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano. I giudici avevano ribadito la decisione di primo grado del 24 maggio 2021 che ha riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso condannando il boss del clan dei Casalesi Bidognetti a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi.
Messaggio, scrivono ancora i giudici nelle motivazioni, “che evidentemente risentiva della diretta riferibilità dell’istanza a lovine e a Bidognetti (capi storici della pericolosa associazione criminale di stampo camorristico conosciuta come clan dei Casalesi) nell’interesse dei quali era stata redatta”. Risuona dunque “chiaro l’avvertimento, veicolato attraverso la lettura dell’istanza, che doveva giungere non solo alle orecchie dei giornalisti nominativamente indicati (da quel momento avvisati del fatto che il loro operato era sgradito ai boss), ma anche agli affiliati presenti su territorio i quali avrebbero potuto trarre da quell’avvertimento l’indicazione o in ogni caso l’autorizzazione – si legge nelle 44 pagine della sentenza a realizzare, in danno di coloro che venivano indicati come ‘nemici’, azioni ritorsive anche lesive della loro personale incolumità”.
Per i giudici, gli imputati hanno “deliberatamente adottato una strategia di risposta diversa, finalizzata alla pubblica denigrazione dei cronisti sgraditi e alla loro indicazione quali ‘nemici’ dichiarati, cosicché fosse chiaro per il futuro quale comportamento gli stessi avrebbero dovuto adottare”. Del resto, “la valenza intimidatoria del proclama e la sua assoluta gravità, in quanto rivelatrice di possibili azioni ritorsive da parte delle organizzazioni camorristiche napoletane e casertane, è stata subito colta da tutte quelle autorità (Procura generale, Prefettura, Sindaco, Ministero degli Interni, Ufficio Interforze per la Sicurezza Personale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza) che in rapida successione hanno segnalato la situazione di grave ‘esposizione a rischio’ per i due cronisti – sottolineano i giudici e ritenuto di dover perciò adottare immediatamente speciali forme di protezione (scorta e auto blindate) nei confronti dei giornalisti, rafforzando per Saviano quelle già predisposte”.
I giudici sottolineano come il “clamore suscitato dalla pubblica declamazione dell’atto di rimessione e l’allarme conseguente al suo contenuto, letto quale attacco diretto a soggetti impegnati nella lotta alla camorra (magistrati e giornalisti, ognuno secondo le rispettive competenze)” abbia “comportato non solo l’adozione delle speciali forme di protezione di cui si è detto, ma l’avvio dell’indagine che ha poi dato luogo al presente procedimento e a quello in cui i magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone sono persone offese”.
In conclusione, per i giudici della Corte di Appello di Roma, “il tentativo di ridurre al silenzio i cronisti che ripetutamente si erano occupati delle vicende del clan, mettendone in risalto l’operatività al di fuori dei confini provinciali e la capacità espansiva sul piano nazionale ed internazionale, era funzionale non solo alla posizione dei singoli assistiti dell’imputato, ma anche a rafforzare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e ad avvantaggiare l’associazione nel suo complesso perché potesse continuare ad operare lontana dai riflettori”.