Biennale di Venezia inaugura la mostra di Gulnur Mukazhanova

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La Biennale di Venezia ha inaugurato oggi la mostra “Gulnur Mukazhanova. Memory of Hope”, a cura di Luigia Lonardelli, presso la Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, sede della Biennale a San Marco, che resterà aperta fino a lunedì 10 febbraio 2025.

La mostra rappresenta la seconda tappa del Progetto Speciale dell’Archivio Storico della Biennale dal titolo “È il vento che fa il cielo. La Biennale di Venezia sulle orme di Marco Polo”, che ripercorre il viaggio dell’esploratore veneziano in occasione delle celebrazioni dei 700 anni dalla sua scomparsa (1324–2024) promosse dal Comitato Nazionale. Istanbul sarà la terza città toccata dal progetto nell’autunno 2025.

Nella prima tappa di Hangzhou con la mostra “Il sentiero perfetto”, inaugurata lo scorso 9 novembre al CAA Art Museum e visitata dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella il progetto si è concentrato sull’ultima generazione di artisti cinesi che stanno cercando il loro personale sentiero. Questa tappa veneziana guarda invece a un’area geografica percorsa da un viaggio meno conosciuto, quello di Niccolò e Matteo, il padre e lo zio di Marco Polo. Con le loro prime esplorazioni essi concepirono l’idea di potersi spingere più a est, attraversando le distese di steppe del Kazakhstan per seguire uno degli infiniti percorsi che portava a Oriente. Le zone desertiche al confine euroasiatico hanno sempre costituito un confine naturale e le loro popolazioni sono state per millenni al centro di un processo di mediazione e connessione fra l’area europea e quella asiatica.

La protagonista di questa mostra, l’artista Gulnur Mukazhanova, nata in Kazakhstan e residente a Berlino da più di dieci anni, porta a Venezia la sapienza e la tradizione dell’arte tessile. La sua pratica artistica sovrappone con una trama larga e fragile, lana, fibre di seta e antichi tessuti con suggestioni provenienti dall’Oriente, i cui motivi decorativi e materiali lontani fra loro, a volte fino alla distonia, sono fusi e armonizzati dalle mani dell’artista.

“L’intervento di Mukazhanova ridefinisce completamente la Sala delle Colonne – spiega la curatrice Luigia Lonardelli quest’ultime inglobate all’interno di una lettura totale dell’ambiente. Come una linea dell’acqua pervade tutto lo spazio, seguendo un piano disegnato a partire dal segno dell’infinito e dalle linee sinuose del drago-serpente, elemento che nella cultura asiatica richiama le energie della terra”. Mukazhanova fa parte di quella generazione di artisti che ha avuto la sua prima uscita internazionale all’interno del Padiglione Asia Centrale (ospitato alla Biennale Arte nelle edizioni che vanno dal 2005 al 2013) che ha ragionato sulle ricerche di una serie di artisti provenienti da Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan riflettendo sui legami che attraversano le identità artistiche di questo territorio e su come la memoria delle identità presovietiche possa rimodularsi nella costruzione di questi giovani Paesi.

Nata negli anni Ottanta, l’artista ha visto disgregarsi l’Unione Sovietica durante la sua infanzia e la costruzione dell’indipendenza del suo Paese nei primi anni della sua adolescenza. La sua opera riflette un’identità mutevole che non cerca di definire categorie o confini, ma che abbraccia la complessità dei riferimenti visivi in cui è cresciuta. “L’artista spiega sempre Lonardelli recupera le tradizioni nomadiche e i tessuti di largo consumo che sono entrati nel Paese durante il periodo sovietico a cui accosta, con continui scarti laterali, pezzi di stoffa provenienti dalla produzione cinese. In questa totale lontananza di iconografie, colori e valori tattili, Mukazhanova vede una possibilità insperata di combinazioni materiche e cromatiche ricreando delle superfici ampie edifficilmente abbracciabili dallo sguardo, che richiamano i grandi orizzonti delle steppe euroasiatiche”.

Come a Hangzhou, anche la tappa veneziana è accompagnata dal palco dell’artista di Istanbul Cevdet Erek, commissionato da La Biennale per seguire questo viaggio. A Venezia Erek ha riprogettato il palco che viene presentato nel Laboratorio delle Arti di Ca’ Giustinian, facendosi ispirare dallo spazio di ricovero per le barche in cui è inserito: la sua architettura è stata disassemblata rendendone evidenti gli elementi costruttivi, lasciandone nude le componenti di base che sono appoggiate nello spazio, in attesa di riprendere il loro viaggio verso Istanbul, che sarà la prossima tappa del progetto “È il vento che fa il cielo”.

“Come una moderna carovana di passaggio dalle terre che attraversa – ha illustrato la curatrice Lonardelli Amfibio è un luogo temporaneo di riposo, sosta e condivisione. Uno spazio di incontro e performativo modulare, concepito per essere permeabile e modificarsi, sia nella sua realizzazione sia nel suo sistema audio, alle tradizioni architettoniche e ai ritmi dei luoghi che attraverserà. Amfibio ha nel suo titolo la sua doppia natura, una creatura che può stare nell’acqua o a riva, mentre la radice ‘amfi’ porta con sé il significato dello stare intorno o dell’attraversare”.

L’identità grafica e il design del Marchio di questo Progetto Speciale è firmata da Headline, Rovereto (Italia). Il design si articola attraverso elementi geometrici tridimensionali che formano il simbolo del Dao. Una scelta visiva non solo estetica, ma profondamente concettuale: le forme geometriche simboleggiano il percorso articolato e complesso del viaggio, richiamando l’idea del movimento in avanti, del progresso.