cronaca della repressione in Venezuela

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05 settembre 2024 | 10.32

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Uomini armati e in passamontagna che irrompono di notte nelle case. Paramilitari stranieri che sparano sui manifestanti. Persone che evitano di parlare persino con i tassisti o postare la propria posizione in tempo reale sui social. A denunciare all’Adnkronos un giorno di ordinaria repressione a Caracas è G. (italo-venezuelana, vive a Caracas, tanti amici avvocati nella rete dell’opposizione: preferisce l’anonimato): “Lavoravo in radio, adesso sono costretta a cancellare foto e video da watsapp. Non scrivo per messaggio date e luoghi degli appuntamenti: gli uomini del regime di Maduro possono arrivare in qualsiasi momento”. La delinquenza è diminuita? “Ho questa sensazione, sono scesi in piazza contro il regime anche i giovani dei Barrios, i quartieri poveri e malfamati: alcuni sono stati uccisi, molti altri arrestati”.

Non bastavano i cellulari sequestrati dalla polizia, gli arresti per un post su facebook o le case degli oppositori politici segnate da una X: a Caracas, racconta G., si vive con la costante paura che, all’improvviso, “uomini vestiti da militari possano piombare nel tuo appartamento: il volto coperto come dei delinquenti, e portare via qualcuno: senza neanche uno straccio di mandato legale”. Sparizioni extragiudiziali, che avvengono senza che nessuno sappia dove quelle persone vengano condotte. “Una volta c’era l’El Helicoide il carcere di Roca Tarpeya dove venivano rinchiusi i dissidenti ma ora alcune persone non vengono neanche più portate lì: scompaiono, e nessuno sa che fine facciano”. Ci sono i genitori che chiedono nei commissariati: chi può, chiede aiuto ai consolati stranieri. “Il regime nega, le ufficiali latitano”. Quello che non latita è la paura. “Anche il tassista che ti porta a destinazione può rappresentare un rischio racconta la donna non sai se fidarti”. ‘Per favore, non parliamo di politica’, è la frase che viene ripetuta sempre più spesso nei bar e sui mezzi pubblici. Chi vive qui impara a non condividere troppi dettagli. “Postare una foto, un video o semplicemente aggiornare la propria posizione in tempo reale può diventare pericoloso: molti condividono solo foto dei giorni prima”.

Poi ci sono ancora le manifestazioni contro il regime: “Si sentono gli spari, il regime usa paramilitari stranieri per la repressione: agiscono fuori da ogni principio di legalità”. La vita quotidiana a Caracas racconta poi la donna è scandita anche da privazioni materiali che amplificano il senso di abbandono. “L’elettricità è intermittente. L’altro ieri siamo rimasti senza corrente dalle tre del mattino alle sette di sera. Senza elettricità, la vita si ferma: le medicine si deteriorano, i telefoni si scaricano, e chi ha la fortuna di entrare in un ristorante dotato di un generatore, lo fa solo per ricaricare il cellulare”. Nelle scuole, la situazione non è migliore. “Alcuni bambini spesso vanno a lezione solo due o tre volte alla settimana. Chi lavora nel campo dell’istruzione deve stare attento a ciò che dice: una parola sbagliata e si rischia la visita notturna degli uomini in passamontagna”. Poi però ci sono gli uomini del regime: “Li trovi che scherzano e mangiano nei ristoranti di lusso. Altro che socialismo e rivoluzione bolivariana: ormai ci sono persone che dicono di aver sostenuto Chavez, ma odiano Maduro”. Nella comunità venezuelana di Milano sono in pochi a parlare: “Molti hanno paura, parenti e amici sono rimasti in Venezuela”.