Da ‘baudeggiare’ a ‘pippobaudista’, i neologismi ispirati a Pippo Baudo

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(Adnkronos) Se la televisione italiana avesse un dizionario tutto suo, alla lettera B troveremmo un’intera famiglia semantica che porta un solo cognome: Baudo. Non un semplice conduttore, ma un genere, uno stile, un’epoca. Un modo di essere e di fare spettacolo. Un’intera grammatica dell’intrattenimento, elevata da decenni a sistema linguistico. 

Ebbene sì: “pippobaudismo”, “baudismo”, “baudeggiare”, “pippobaudista”, “baudiano”, “baudesco” non sono solo simpatici giochi di parole partoriti da giornalisti, editorialisti e critici televisivi e di costume spiritosi. Sono neologismi registrati ufficialmente nel Vocabolario Treccani e studiati anche dall’Accademia della Crusca, come ricorda l’Adnkronos.  

Ma cosa significano davvero queste parole? E perché nascono? Partiamo dalla madre di tutte: “pippobaudismo”. Secondo la Treccani, è “il modo in cui Pippo Baudo ha interpretato il costume e la società italiana”. E già qui ci spostiamo dalla tv al sociologico. Un termine che fotografa l’arte del varietà come specchio del Paese, l’equilibrismo perfetto tra cultura alta e popolare, tra Carlo Verdone e Giuseppe Verdi, tra premi Nobel e Miss Italia. 

Meno accademico ma altrettanto calzante è “baudismo”, ovvero, secondo la definizione della Treccani, “l’atteggiamento, il comportamento, la concezione dello spettacolo tipici di Pippo Baudo”. In altre parole, il modus operandi di chi vede la televisione come una missione nazionale-popolare, con toni solenni, ospiti eccellenti, e una passione inesauribile per la scaletta ben fatta. 

E se qualcuno esagera nel replicarne lo stile? Sta semplicemente “baudeggiando”, registra la Treccani. Un verbo inventato (ma perfettamente intellegibile) per descrivere chi si cimenta, talvolta goffamente, nel mestiere del Pippo Baudo: con giri di parole, presentazioni epiche e applausi da dirigere con la mano come un direttore d’orchestra. 

Tra gli aggettivi troviamo “baudiano”, che indica invece tutto ciò che è “alla Pippo Baudo”: dal ritmo del programma al taglio della cravatta, fino alla gestione delle emergenze in diretta. Ma se il termine sembra troppo sobrio, c’è sempre “pippobaudiano”, un concentrato di enfasi e nostalgia. E per definire chi di quella scuola è alunno devoto? Serve un sostantivo militante: “pippobaudista”, il fedele spettatore e l’autore nostalgico, quello che non si arrende al trash disimpegnato e sogna ancora la tv come “servizio pubblico con lustrini”. 

A confermare che la lingua, come la televisione, è materia viva e mutante, arriva anche l’Accademia della Crusca, con il compianto linguista Luca Serianni che, in un saggio del 2003, ipotizzava persino un nuovo verbo: “imbaudire”, cioè “”assumere lo stile di Pippo Baudo”. Un’espressione volutamente bizzarra, ma dal significato cristallino. Perché Baudo, in fondo, è un linguaggio che l’italiano medio comprende benissimo, senza bisogno di sottotitoli o sottotesti linguistici. 

Il fenomeno è raro, ma non unico. Altri personaggi pubblici hanno avuto l’onore di diventare sostantivi o aggettivi (si pensi a “berlusconismo” o “felliniano”), ma Pippo Baudo è l’unico che può vantare un intero campo semantico, completo di derivati verbali e suffissi multipli. Un caso di lessicografia vivente, dove la figura del presentatore non solo ha segnato l’immaginario collettivo, ma è penetrata nella struttura stessa della lingua. 

In un’epoca in cui l’effimero è la regola e i conduttori cambiano con le stagioni, Pippo Baudo è rimasto per lungo tempo un punto di riferimento grammaticale. È stato l’unico personaggio capace di far coniugare la nostalgia con l’analisi linguistica, la cultura alta con quella di massa, l’intrattenimento con la linguistica storica. 

(di Paolo Martini)