Dai “vaffa” a Conte, 15 anni sulle montagne russe per i Cinquestelle

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   Dai “vaffa” di Beppe Grillo alla nuova linea del partito di Giuseppe Conte, dal “cambiamento epocale” promesso dal Garante, dove ognuno avrebbe avuto una password per “decidere”, alla costituente di Roma in chiave progressista.

Sono passati quasi 15 anni dai primi vagiti del MoVimento e dalla promessa di aprire il Parlamento come una “scatoletta di tonno”. Tanta acqua sotto i ponti. I 5 stelle plasmati dall’ex comico insieme a Gianroberto Casaleggio hanno subito nel tempo diverse importanti trasformazioni.

Il salto da Movimento di lotta a partito di governo dopo le elezioni del 2018, quando i 5 stelle diventarono la prima forza politica del Paese assestandosi intorno a quel 33 per cento di consensi che gli aprì la strada verso il governo. Con un assetto che nessuno avrebbe mai immaginato solo qualche settimana prima delle elezioni, un Esecutivo giallo verde con la Lega di Matteo Salvini, guidato proprio “dall’avvocato del popolo” Giuseppe Conte.

E la leadership grillina affidata a Luigi Di Maio, capo politico dal 23 settembre 2017 al 22 gennaio 2020. Inizialmente ancora molto di lotta, tanto da minacciare l’impeachment per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella contrario alla nomina di Paolo Savona come ministro dell’Economia perché fautore di una linea che poteva provocare addirittura la fuoriuscita del nostro paese dall’Euro. Una durissima polemica che rischiò di inceppare il Conte 1 “giallo-verde” al suo nascere, tanto da far entrare in pista come premier incaricato il tecnico Carlo Cottarelli, ma che si affievolì e rientrò in poche ore, nell’arco di una notte, con l’avvocato del popolo che alla fine salì al Colle con la lista dei ministri che prevedeva Savona alla guida delle politiche comunitarie e Giovanni Tria all’Economia. In quel governo, Di Maio ricoprì anche il ruolo di vicepremier insieme a Salvini.

Nella stagione “governativa” dei 5 stelle, Di Maio è stato ministro dello Sviluppo economico, ministro del Lavoro e delle politiche sociali e ministro degli Esteri del governo “giallo-Rosso”, dopo lo strappo con la Lega e l’accordo con il Pd che portò al Conte bis. Nel febbraio 2021 la conferma alla guida della Farnesina nell’esecutivo Draghi, poi nel 2022 la crisi con il Movimento, la scissione e la fondazione di “insieme per il futuro”, in contrasto con la linea di Conte sulla questione dei mandati e anche per le palesi divergenze sulla guerra in Ucraina. Un tema, quest’ultimo, che complica ancora lo schema delle alleanze dei 5 stelle nel centrosinistra.

    Ma sembra passato un secolo da quando Grillo arringava gli attivisti dei meet up dopo il suo discorso-spettacolo al teatro Smeraldo di Milano, 15 anni fa. Dal palco prometteva che il nuovo soggetto, con cui si preparava a partecipare ad alcune elezioni locali, avrebbe mandato a casa la vecchia politica. Nel pubblico sedevano, tra gli altri, Adriano Celentano e Luigi De Magistris, che si augurava la fine della politica della casta, dei privilegi della classe dirigente.

    “Uno vale uno”, urlava Grillo chiudendo il suo discorso e sventolando il simbolo che in 15 anni ha governato il Paese con tre esecutivi, due delle principali città italiane, Roma e Torino, e oggi anche la regione Sardegna, guidata dall’ex ministra dello Sviluppo economico Alessandra Todde. Il sistema Rousseau, quello con la famosa “password” per decidere, ideato dal co-fondatore del Movimento Gianroberto Casaleggio, non è più attivo.

L’8 aprile del 2021 Grillo incaricò la costruzione di una nuova piattaforma, mentre Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, denunciava il mancato pagamento da parte di alcuni parlamentari pentastellati della loro quota alla sua associazione. Letti con gli occhi di oggi, tutti segnali prodromici dello scontro finale tra l’ex premier e il fondatore, tra lettere infuocate e minacce incrociate, fino all’epilogo della Costituente.
   

ANSA