“E’ la stagione delle donne e non sarà effimera”

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“E’ la stagione delle donne, e non sarà una stagione effimera. Governano paesi e partiti, dettano l’agenda, fanno opinione, mietono consensi, vincono premi. In Francia Marine Le Pen progetta un altro assalto all’Eliseo, dia qui a tre anni. E intanto guida il suo Bardella verso una -incerta, incertissima- campagna elettorale. Negli Usa la vice Kamala Harris sembra l’alternativa più plausibile all’ormai troppo venerando Biden. In Gran Bretagna tre ladies occupano i ruoli chiave nel nuovo gabinetto di Starmer. In Italia infine Giorgia Meloni riprende i suoi due vice seduti lì accanto invitandoli ad alzarsi in piedi come fossero due scolaretti non troppo disciplinati. Mentre nel Pd Elly Schlein tira dritto per la sua strada, incurante delle correnti e dei suoi capi e capetti. Intanto con una sola intervista Marina Berlusconi sembra scombussolare l’agenda di maggioranza almeno in tema di diritti civili.

Che le donne siano destinate a contare sempre di più è una profezia, e soprattutto una virtù, che sta nei numeri della demografia ma soprattutto nella fantasia delle persone. La politica al maschile infatti ha seminato troppe delusioni perché non prevalga la tentazione di cercare altrove. E il nostro altrove globale è appunto il secondo sesso, per dirla con Simone de Beauvoir. Tutto questo è ovvio, ed è giusto. Ma se si sta davvero per aprire una nuova stagione negli equilibri politici globali, e se questa stagione matura sotto il segno delle donne, occorre anche cominciare a chiedersi quali ne saranno i caratteri e quali le conseguenze.

La mia personalissima convinzione è che una volta che la politica sia destinata a passare di mano, rivolgendosi soprattutto verso il mondo femminile, potrà forse venire frenata quella deriva verso populismo e sovranismo che l’ha fatta da padrona in questi ultimi anni. Non perché non ci siano figure politiche femminili che occhieggiano da quella parte (ne abbiamo appena citato un paio di illustri esempi). Ma perché quella attitudine alla semplificazione (e a un certo rodomontismo) che caratterizza la stagione che stiamo attraversando sembra attagliarsi di più a quella insofferenza tutta maschile che pretende ogni volta di tagliare i nodi della complessità con l’accetta della sua eccessiva sbrigatività.

Si prenda il caso di Trump o quello dell’argentino Milei. Risulta assai difficile immaginare una donna al loro posto, che parli con quel linguaggio così crudo o addirittura agiti una motosega nell’aria. In questi due casi il porsi così sopra le righe appare come un vezzo tipicamente maschile, a cui assai difficilmente una figura femminile potrebbe piegarsi. La stessa Evita Peron, in anni assai lontani, coniugava il suo indubitabile populismo con una propensione all’accudimento che ne rendeva un po’ meno spigolosa la figura pubblica.

Quello che sto cercando di dire è che alcuni caratteri del populismo e del sovranismo sembrano quasi sempre aver bisogno di una elaborazione, e tanto più di una recitazione, tipicamente maschile e maschilista. Quella del primo Grillo, per intenderci. E dei molti, troppi imitatori che gli hanno fatto seguito in giro per il mondo. Per trovare infine per l’appunto in Donald Trump e nelle sue vicissitudini anche processuali l’esempio più clamoroso -e anche, purtroppo, più coerente.

Ora, se la sfida delle donne al vecchio potere maschile ha un significato e un valore dovrà essere quello di cominciare a rovesciare una certa idea della politica. Uscendo dalla logica della virilità, della prova di forza, del bullismo. E coltivando piuttosto certi aspetti più gentili e più costruttivi che sembrano adattarsi meglio alle loro personalità.

Naturalmente, occorre sempre andarci piano con certe generalizzazioni. E infatti, mano a mano che le barriere sessuali vengono attraversate, è evidente che alcuni caratteri e molti stereotipi andranno rivisti. E’ fin troppo banale ripetere che ci sono donne e donne, e uomini e uomini. Figure assai diverse e personalissime tra le quali possono albergare le più ampie varietà di comportamenti e sensibilità. Eppure, se ha un senso questo passaggio di testimone, esso consiste almeno nel farci sperare in un futuro politico meno ferino (e meno feroce) di come troppi uomini lo hanno interpretato fin qui”. (di Marco Follini)