Il riserbo è massimo. In pochi riescono a parlarle perché Giorgia Meloni ancora sta riflettendo sulla scelta da fare per sostituire Raffaele Fitto. Tanto che non è detto che il giuramento si terrà a stretto giro. Anche se più passano le ore, più salgono le quotazioni di Tommaso Foti, attuale presidente del gruppo alla Camera.
I punti fermi sono due: niente spacchettamento delle deleghe, che saranno affidate a un nuovo ministro, e l’indicazione di una figura politica di stretta osservanza di Fratelli d’Italia. La questione è delicata, e tiene banco anche al congresso di Noi Moderati, dove Maurizio Lupi riunisce tra presenze e partecipazioni virtuali, tutti i leader del centrodestra.
E dove la premier rilancia il valore dell’unità del centrodestra, cercando di archiviare una volta per tutte le frizioni, le schermaglie come le ha definite Ignazio La Russa, che hanno scosso negli ultimi giorni la maggioranza. Anime e identità sono “diverse” ma la forza del centrodestra è la “coesione”, dice Meloni in un videomessaggio registrato che assume un peso diverso dopo la settimana di passione sul decreto fisco in Senato.
Un messaggio che ripetono anche i suoi vicepremier e lo stesso Lupi, che li ha invitati tutti all’assemblea nazionale del partito per mostrare in maniera plastica quanto il suo centro, non un “cespuglio” ma un “seme”, possa rappresentare un “ponte” tra le diverse sensibilità. Ancorato alla tradizione dei popolari (a gennaio ci sarà l’ingresso nel Ppe), che è anche quella di Antonio Tajani. Ma non c’è concorrenza, assicura il leader di Fi ricordando di avere perorato la causa di Noi moderati all’interno della sua famiglia europea.
Nonostante le buone intenzioni esposte e dichiarate, però, i due vicepremier, e gli stessi centristi, non mancano di segnare qualche differenza. Tajani unico presente alla kermesse dal palco sostiene la necessità di dotarsi al più presto di una difesa comune europea: “non possiamo aspettare sempre gli americani”, dice il ministro degli Esteri. E Matteo Salvini, che parla dopo di lui per un problema del videocollegamento, ci tiene proprio a specificare che bisogna andarci “cauti”, ribadendo la speranza che l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca porti “la pace”. Ma dall’autonomia fino al pantheon dei popolari è un continuo di piccoli distinguo: ben note le perplessità di Fi e pure di Noi Moderati (ribadite anche negli interventi dal palco) sul primo punto, il leader della Lega ricorda invece che “Sturzo”, citato poco prima da Tajani, “si definiva un federalista impenitente”.
Con conseguente reazione freddina dell’altro vicepremier (“Se anche lui si riconosce in Sturzo io sono contento”), che approfitta del passaggio all’assemblea per ribadire che il Ppe ha fatto da “scudo” alla nomina di Fitto alla vicepresidenza (esecutiva) della Commissione Ue e che in ogni caso “nessuno ha mai preteso di avere posti”. Nel caso specifico quello del fedelissimo della premier che lascia Roma per Bruxelles. Fitto sarà di ritorno a Palazzo Chigi già giovedì per la prima visita ufficiale nel suo nuovo ruolo, ed è possibile che trovi ad accoglierlo anche il suo successore. Meloni “ci sta ancora riflettendo”, dice però chi ha avuto modo di sentirla, quindi potrebbe sfumare la nomina lampo già nel pomeriggio.
L’idea prevalente, stando ai rumors, sarebbe quella di promuovere Tommaso Foti, che lascerebbe scoperto il ruolo di capogruppo alla Camera. Tra i nomi circola anche quello di Marco Osnato, responsabile economico del partito e presidente della commissione Finanze di Montecitorio. Ma ci sarebbe anche un altro schema, che vedrebbe un ulteriore movimento: Luca Ciriani prenderebbe il posto di Fitto e Foti diventerebbe a sua volta ministro per i Rapporti con il Parlamento. Un’opzione che non risolverebbe comunque il nodo del capogruppo. Motivo in più per prendersi ancora qualche ora prima di presentare la scelta al Colle.
ANSA