Ken Follett: “Nel mistero di Stonehenge la ricerca dell’immortalità”

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Una storia che affonda le radici alle origini dell’umanità, avvolta da un mistero che continua a interrogare studiosi e appassionati. Stonehenge non è soltanto un sito archeologico composto da un insieme circolare di pietre imponenti capaci di sfidare il tempo, ma anche un simbolo dietro cui si cela la ricerca dell’identità e, in un certo senso, dell’immortalità. Ne è convinto lo scrittore britannico Ken Follett, che a questo mistero ha dedicato il suo nuovo romanzo, ‘Il cerchio dei giorni’, pubblicato da Mondadori e già in libreria.

Durante la tappa romana del tour promozionale – domenica 12 ottobre alle 18.30 sarà al Teatro Carcano di Milano – Follett ha spiegato ai giornalisti: “Stonehenge rappresenta la lotta di alcune persone per affermare la propria identità. Persone che, nell’età della pietra, hanno pensato che un monumento – che incarnava la loro identità – potesse durare millenni e fosse visibile a migliaia di persone. Presentando quel monumento, è come se avessero voluto presentare sé stesse”. Un’impresa che, come nel caso delle cattedrali, ha anche una dimensione spirituale. “Costruire qualcosa – ha osservato lo scrittore – è sempre un’ottima idea per un romanzo, perché pone al centro della trama una missione. Lungo questo processo si verificano ostacoli, passi indietro, ma anche trionfi e svolte. Spesso, nella storia dell’umanità, un edificio rappresenta qualcosa di spirituale.”

Di Stonehenge, però, restano poche tracce. Per questo Follett ha arricchito la narrazione con una rete di eventi e personaggi immaginari, fedeli al principio che ha reso celebri i suoi romanzi: raccontare il mistero attraverso le vite di persone comuni, con le loro imprese, vittorie e sconfitte. Secondo lo scrittore, è probabile che prima del monumento in pietra ci fosse una struttura in legno: “Molti archeologi lo sostengono, anche se il consenso non è universale. A me è sembrata un’ipotesi sensata. Non ci sono prove di battaglie a Stonehenge – ha aggiunto – sono stati ritrovati pochi scheletri, il sito non è mai stato un cimitero. Si sono trovate tracce di sepolture di ceneri, ma nessuna evidenza chiara di scontri.”

Durante l’incontro, Follett si è raccontato e ha condiviso le ragioni che lo spingono a scrivere, senza sottrarsi alle domande sull’attualità politica. Sulla possibilità di scrivere un romanzo ispirato alla crisi in Medio Oriente, Follett è stato netto: “In un romanzo la vicenda deve arrivare a una conclusione, non necessariamente lieta, ma deve esserci uno scioglimento. Per questo mi è impossibile scrivere su eventi politici in corso, come quelli che riguardano Gaza, perché non sappiamo come andranno a finire.”

E alla domanda su cosa si aspetti dall’accordo sul cessate il fuoco, ha risposto: “Desidero la pace in Medio Oriente, che israeliani e palestinesi possano vivere in armonia. Ma questo è un desiderio, quindi una fantasia. In realtà, temo che a Gaza siano state poste le basi per nuove guerre e nuovo terrorismo. È cresciuta una generazione di giovani che odiano Israele, probabilmente senza prospettive di lavoro, e l’unica cosa che desiderano è uccidere. È una conseguenza atroce e tremenda. Per la Palestina, non avrei scelto Tony Blair.”

Con una battuta ha poi liquidato l’ipotesi di una candidatura al Nobel per la letteratura. “Quando scrivo – ha detto – non ho nulla da insegnare. Quello che mi interessa davvero è creare un mondo immaginario e attrarre i lettori fino al punto in cui si affezionano ai personaggi. Non ho altra finalità se non quella di scrivere buoni romanzi popolari. Voglio semplicemente raccontare una storia, senza alcun programma nascosto”. Al Nobel “non ci tengo davvero. Scrivo per raccontare storie che piacciano ai lettori, che li spingano a leggere fino in fondo per puro piacere. Il Nobel viene assegnato a chi produce una letteratura diversa, alta, intellettuale. Ma non è quello che faccio io. Quando non ci sono aspettative, non ci sono delusioni”, ha concluso sorridendo. (di Carlo Roma)