Un rebus soprattutto politico, reso più complesso dalla necessità di bilanciare nomine maschili e femminili. Ha questi contorni la trattativa fra maggioranza e opposizione in vista di martedì, quando il Parlamento è nuovamente convocato in seduta comune per per colmare i quattro posti vuoti alla Consulta.
Alla luce di questo appuntamento, è slittata di una settimana, da lunedì al 20 gennaio, la camera di consiglio della Corte costituzionale sull’ammissibilità dei referendum sull’Autonomia. Una decisione, nell’aria da giorni, che genera fra i partiti l’urgenza di arrivare a una fumata bianca al prossimo scrutinio, il tredicesimo con cui si tenta di sostituire l’ex presidente Silvana Sciarra, il quarto per i successori degli altri tre giudici, Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti.
Ma l’intesa fra i partiti è ancora tutt’altro che definita. La palla è sostanzialmente in mano ai leader. L’agenda di Giorgia Meloni negli ultimi giorni è stata dominata dal caso Sala, dagli incontri internazionali e dalla conferenza stampa in cui ha, tra l’altro, annunciato che sulla Consulta sono avviate le interlocuzioni con le opposizioni e l’obiettivo è “procedere spediti”. E Antonio Tajani nelle ultime è stato impegnato nella doppia missione in Siria e Libano.
ra domenica e lunedì si capirà se le trattative hanno portato a un incastro condiviso da almeno i 3/5 dei parlamentari (l’asticella è a 363 voti). Da settimane si ragiona su uno schema 2+1+1, ossia due giudici in quota centrodestra, uno in quota centrosinistra e una figura tecnica. Quest’ultima rischia di essere la tessera del puzzle più delicata. Fonti di centrodestra adombrano l’idea, per risolvere lo stallo, di aprire a un profilo come quello di Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato, ex sottosegretario del governo Draghi, che potrebbe essere considerato più di area centrosinistra.
Non è detto però che tutte le opposizioni condividerebbero. E l’ipotesi si scontra con la necessità, condivisa da tutti, di eleggere almeno una donna su quattro. Circola con insistenza il nome dell’avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, così come quello di Valeria Mastroiacovo, tributarista e dal 2022 assistente del giudice costituzionale Luca Antonini, considerato vicino alla Lega. L’unica casella certa è quella indicata da Meloni: Francesco Saverio Marini, il suo consigliere giuridico. L’altro nome di centrodestra dovrebbe essere Pierantonio Zanettin, capogruppo di FI in commissione Giustizia del Senato, perché l’intenzione è di non muovere componenti del governo come il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, e tantomeno la ministra per le Riforme istituzionali Elisabetta Casellati. Rimpasto, ormai è noto a tutti gli alleati, è una parola che causa reazioni allergiche a Meloni. Si attende una indicazione da parte del Pd, che guida la scelta del nome in quota opposizioni. Nel partito ci sarebbero perplessità su Andrea Pertici, componente della segreteria dem e considerato vicino a Elly Schlein, nonché legale della Procura di Firenze nel conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta fra il Senato e i pm dell’inchiesta Open. In molti nel Pd gli preferirebbero Massimo Luciani, già presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. Un profilo del genere, osservano in ambienti parlamentari, potrebbe essere considerato anche nella casella del ‘tecnico’. Nell’incertezza, resta il rischio che la decisione sui referendum arrivi con una Consulta ancora non al completo.
ANSA