Simbolo della Lega senza Zaia in Veneto, tensione sulla Lombardia

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 Il futuro di Luca Zaia e, guardando avanti, quello della Lombardia. Il centrodestra ha chiuso la partita dei candidati alle Regionali ma restano aperti nodi rilevanti, soprattutto nella Lega. Perché l’accordo siglato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che ha dato il via libera all’ufficializzazione del leghista Alberto Stefani come front man della coalizione in Veneto, ha almeno due postille con effetti non banali.    

 La prima riguarda il nome di Zaia nel simbolo della Lega per le elezioni del 23 e 24 novembre. Fino a ieri pomeriggio doveva contenere quelli di Salvini e del governatore uscente. Alla fine potrà esserci solo il primo. La condizione posta da Meloni non è solo simbolica ma decisamente politica. E non ha fatto piacere a Zaia: dopo essere stato convinto dagli alleati ad accantonare la lista civica personale, era capolista in pectore della Lega, ma ora anche questo scenario non è certo. “Non sono nelle condizioni di dire come sarà la mia corsa, se la farò ha spiegato . C’è da attendere qualche giorno”.     

Per il Doge resta la possibilità di entrare alla Camera al posto di Stefani, ma le suppletive, si ragiona in Parlamento, non saranno prima di maggio. FdI non avrebbe preclusioni sulla scelta del governatore uscente come presidente del Consiglio regionale. Altrimenti anche quella poltrona potrebbe andare a un esponente del partito della premier, che nell’accordo stretto a Palazzo Chigi si è già assicurata vicepresidenza della giunta e almeno 5 assessorati: Agricoltura, Bilancio, Sanità, Lavori pubblici e Formazione-istruzione. Quattro posti andranno al partito di Salvini e uno a FI. “Insomma notano i meloniani , la Lega avrà il presidente ma noi la giunta”.     

L’altro risvolto dell’intesa sulle Regionali riguarda la Lombardia. Salvini ieri ha spiegato che il candidato sarà espresso “dal partito con il più recente maggior peso elettorale” nella regione “precedente le elezioni”. E oggi ha ribadito che “se FdI sarà il primo partito, ha tutto il diritto di rivendicare la guida”. L’idea più accreditata da FdI è che si terrà conto delle Europee del 2024 (FdI 31,7%, Lega 13%) se la Lombardia dovesse andare al voto con un anno d’anticipo, nel 2027, insieme alle Politiche. Per uno dei suoi fedelissimi il leader leghista ha optato per il “meglio la gallina oggi che l’uovo domani. E comunque guardiamo al 2028, c’è tempo…”. Di certo c’è malumore in Lombardia, dove il segretario Massimiliano Romeo non molla: “Il candidato sarà nostro”. E ne fa una questione “non di voti ma di radici: se dovessimo perdere la guida della Regione, la Lega rischierebbe di perdersi”.     

Una carta di FdI è Carlo Fidanza, ma circola anche il nome di Ettore Prandini, che fra tre anni chiuderà il secondo mandato alla guida di Coldiretti. Un erede che non dispiacerebbe all’attuale governatore Attilio Fontana, dicono i leghisti. Da FdI silenzio e sorrisetti allusivi. Il diretto interessato smentisce “un impegno in politica” perché vuole “rispettare fino in fondo il ruolo a difesa agricoltori”.     Sono partite ufficialmente le campagne elettorali degli altri due candidati appena annunciati. Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, di FdI, ha fatto il pieno di in bocca al lupo in mattinata alla Camera. La sfida con Roberto Fico in Campania si annuncia ardua ma “lui è un mastino, se corre il suo obiettivo è vincere”, assicurano i colleghi di partito. A Montecitorio si è presentato anche Luigi Lobuono, l’imprenditore scelto come candidato civico per la Puglia dopo un lungo ballottaggio con l’azzurro Mauro D’Attis: per lui vertice con diversi esponenti della coalizione, tra cui il leader di FI Antonio Tajani, Francesco Lollobrigida di FdI e Riccardo Molinari della Lega. Il prossimo test, intanto, sarà in Toscana, dove il centrodestra punta a eguagliare il 40% ottenuto da Altero Matteoli nel 2000 e Susanna Ceccardi nel 2020.     

Sullo sfondo procedono i confronti sulla legge elettorale. FdI spinge per l’abolizione dei collegi, perché “aumentano il rischio di instabilità, chiunque vinca”. Pare che anche la Lega si sia convinta di questa soluzione. Si punta a un proporzionale secco, ha spiegato ai suoi Tajani. Un obiettivo è il ritorno delle preferenze, anche se c’è chi spinge per avere almeno il capolista bloccato, e si discute sulla soglia di sbarramento (1% o 3%). L’unica certezza è che sarà indicato il nome del candidato premier sulla scheda. Un premierato di fatto, in attesa della riforma costituzionale, che procede a rilento. 

ANSA