“La medicina ayurvedica mi fa scegliere i prodotti migliori: nel mio mestiere la conoscenza della natura è tutto. La criminologia? È utile anche in cucina, mi aiuta a leggere tra le righe: capisco subito cosa vuole un cliente, cosa lo affascina e cosa lo lascia perplesso”. Wicky Priyan racconta all’Adnkronos che è uno chef dello Sri Lanka ma fa cucina giapponese (con accostamenti mediterranei): è laureato in criminologia ma poteva fare il medico ayurvedico (tradizione di famiglia da quasi 800 anni). Adesso ha un ristorante a Milano (molto apprezzato, tra gli altri, dal sindaco Sala), ma i migliori ingredienti se li prende su un’isola giapponese, Kyushu, a più di 900 chilometri da Tokyo: “La grande isola che rifornisce tutto il Giappone di pesce, carne e ogni sorta di alimenti”. Soprattutto dalla regione di Miyazaki (famosa per il surf), sottolinea, “faccio arrivare nel mio ristorante verdure, erbe ayurvediche, spezie, mango (in futuro sakè e caviale)..e coltelli”. Coltelli? “Sì spiega lo chef li prendo dalla fucina del fabbro Mizumoto Hamono nella città di Nichinan (nel sud di Miyazaki): ogni singolo pezzo dice è forgiato a mano da artigiani che per me hanno realizzato il più grande esemplare che abbiano mai fatto, ispirato a una spada giapponese”.
La teoria della spada giapponese: senza coltello affilato il cibo è… insipido
“La cosa più importante per uno chef spiega è avere un coltello affilato. Con un coltello smussato non si possono preparare cibi saporiti: diventano insipidi, il coltello influisce su tutto”, spiega Priyan. Il taglio, aggiunge, “è cruciale e se non si usa un coltello giapponese non si può tagliare in modo netto: i coltelli giapponesi sono vivi”. Quando entri in cucina, ama ripetere lo chef, “servono un tagliere pulito, coltelli affilati e buoni ingredienti”. E quelli di Nichinan, assicura, “davvero non sbagliano un taglio”. Di coltelli, spiega, “ne ho più di 150 nel mio ristorante, li faccio venire tutti da lì”.
Un amore sbocciato dopo il Covid..tra l’isola rocciosa e la ‘lavanderia del demone’
“La prima volta che ho messo piede sull’isola- dice è stato 25 anni fa: amore a prima vista”. Prendete Aoshima, dice, “qui sono rimasto come incantato dall’isola rocciosa circondata da straordinari motivi a forma di sabbia, gli ‘oni no sentakuita (lavanderia del demone), eppoi le meravigliose cascate nella Gola di Takachiho”. All’inizio, prosegue, “venivo a Miyazaki ogni tanto, poi dopo il Covid sempre più spesso. Ho trovato qui prosegue lo chef tutto quello che serve per il mio mestiere”: una terra florida bagnata dalle acque del mare e dei fiumi dove cresce tutto ciò che la natura può offrire. “Qui evidenzia- ho iniziato a comprare anche appezzamenti di terra con l’obiettivo di coltivare erbe ayurvediche e verdure giapponesi da portare sulle tavole di Milano”. Ma soprattutto, aggiunge, “ho scoperto gli abitanti del luogo, persone dal grande cuore che hanno capito con il tempo l’importanza di una collaborazione reciproca”.
Nella terra dove si fa amicizia mangiando pollo crudo
La criminologia, spiega lo chef, “mi è venuta ancora una volta in soccorso: è una scienza che ti aiuta a scavare negli abissi dell’anima e capire le persone”. E di questa gente, continua, “ho capito che mi potevo fidare”. All’inizio, dice, “ci mettono un po’ di tempo a dare confidenza. Ho compreso aggiunge che loro si fidavano di me quando mi hanno invitato a mangiare il pollo crudo: ero uno di loro”. Il pollo crudo, racconta, è più di un semplice piatto: è un rito per quelle persone. “È l’unico Paese al mondo dice dove si mangia perché ne hanno una tipologia priva di virus: ma non lo offrono a chi non ha capito Miyazaki”, dice sorridendo. “Voglio fare conoscere questa straordinaria cultura dice anche qui in Italia”.
Volerei da Milano fino Miyazaki
“Quello che desidero fare nel tempo spiega è creare un ponte culturale tra Miyazaki e Milano: voglio esportare quei sapori naturali qui in Italia e portare gli italiani a scoprire le meraviglie dell’isola: ne parlo sempre anche con i clienti del mio ristorante”. Esiste poi un progetto di scambio culturale, dice, “con eventi che includeranno degustazioni di piatti tipici e sessioni educative sulle tecniche culinarie di entrambe le Regioni”. D’altronde, spiega lo chef, “io di nuove avventure non ho paura, si figuri che sono diventato chef spinto da un errore”.
Tutto cominciò da un taglio ‘sbagliato’ di sushi
Molti anni fa, racconta lo chef, “mi presentai davanti a un maestro esperto nella preparazione del sushi, Kan: mi invitò a tagliarne un pezzo. Inutile dirlo, il taglio non fu perfetto ma il maestro mi promosse perché vide impegno e disciplina”. Quell’errore, sottolinea Wicky, “non mi scoraggiò, anzi mi spinse ad andare avanti: dagli errori si impara, non è solo un modo di dire, scatta in noi la molla a fare meglio ma a una condizione: la passione”. (Ape)